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ESG: cosa significa
Dietro l’acronimo sempre più conosciuto anche fuori dal mondo della finanza e della “sostenibilità” ci stanno tre termini come: Environmental, Social, e Governance, si tratta di tre fattori fondamentali per verificare, misurare e sostenere l’impegno in termini di sostenibilità di una impresa o di una organizzazione.
Nello specifico l’ESG rappresenta una serie di criteri di misurazione delle attività ambientali, sociali e della governance di una organizzazione, criteri che si concretizzano in un insieme di standard operativi a cui si devono ispirare le operations di un’azienda. Si tratta di criteri che sono utilizzati dagli investitori, in una prima fase dagli investitori socialmente consapevoli e oggi dagli investitori in generale, per valutare e selezionare i potenziali investimenti.
Il fenomeno ESG è recente ma trae la propria linfa da radici che sono ben radicate nel tempo e nell’economia. L’acronimo ESG risale al 2005 e si può dire che solo da pochi anni la reportistica è diventata sufficientemente ampia e dettagliata da permette delle analisi statistiche.
Rispetto alle logiche di valutazione i criteri che sottostanno alla lettera “E” di Environmental sono criteri ambientali e valutano come un’azienda si comporta nei confronti dell’ambiente nel quale è collocata e dell’ambiente in generale. I criteri collegati alla lettera “S” sono relativi all’impatto sociale ed esaminano l’impatto e la relazione con il territorio, con le persone, con i dipendenti, i fornitori, i clienti e in generale con le comunità con cui opera o con cui è in relazione. La “G” di Governance infine riguarda i temi di una gestione aziendale ispirata a buone pratiche e a principi etici, in questo ambito i temi sotto esame riguardano le logiche legate alla retribuzione dei dirigenti, il rispetto dei diritti degli azionisti, la trasparenza delle decisioni e delle scelte aziendali, il rispetto delle minoranze.
Perché i criteri ESG sono diventati così importanti?
I criteri ESG sono importanti perché permettono di misurare in modo preciso e sulla base di parametri standardizzati e condivisi le performance ambientali, sociali e di governance di un’azienda. Per lungo tempo l’impegno sociale, ambientale e le buone pratiche di governance di una organizzazione hanno rappresentato una scelta del tutto libera e indipendente da parte delle organizzazioni e così la loro rappresentazione e la relativa comunicazione. I risultati raggiunti venivano rappresentati sulla base di scelte e logiche legate a ciascuna realtà e non potevano essere “misurate” o “paragonate” a quelle di altre aziende e non potevano essere oggetto di valutazioni “oggettive”. I criteri ESG sono importanti perché consentono di ricondurre a criteri di misurazione oggettivi e condivisi anche le attività ambientali, sociali e di governance.
Da dove arrivano le metriche di valutazione ESG?
I criteri ESG non sono “nuovi”, sono attivi e condivisi presso la comunità delle imprese e delle organizzazioni più attente ai temi della sostenibilità ambientale, sociale e alle buone pratiche di gestione di un’azienda. La loro importanza è fortemente cresciuta in quanto questi criteri sono utilizzati dalla comunità finanziaria per ”misurare”, valutare, confrontare le performance ambientali, sociali e di governance delle imprese unitamente alle loro performance di business convenzionali. Il mondo della finanza ha iniziato a mostrare grande attenzione alla valutazione dei criteri ESG prima di tutto per la gestione di diverse forme di investimento che si ispirano a criteri di responsabilità sociale e ambientale e che indirizzano obiettivi legati all’ambiente, alla dimensione sociale e a una governance ispirata a principi etici. In secondo luogo l’attenzione del mondo finanziario si è estesa alla valutazione di questi criteri per tutte le aziende a prescindere dalla loro vocazione o missione in quanto molto analisi hanno dimostrato (come vedremo più avanti) che le aziende con le migliori valutazioni ESG sono anche quelle che ottengono maggiori performance e che affrontano meglio i rischi legati a emergenze o situazioni di crisi.
Le tre ragioni principali che spingono gli operatori finanziari verso l’ESG
In sintesi le ragioni che spingono gli operatori finanziari a prestare sempre più attenzione ai criteri ESG nell’analisi delle imprese e nelle decisioni legate agli investimenti sono fondamentalmente tre:
- Soprattutto nel 2020 anche a causa della pandemia e delle conseguenze sul piano economico e sociale si è diffusa presso gli operatori la convinzione che la integrazione con criteri ESG permetta di migliorare le performance delle aziende e per certi aspetti consenta di avere un maggior controllo sulle performance dei portafogli finanziari.
- L’analisi ESG, in termini di valutazione delle performance delle aziende relativamente alla loro situazione in relazione all’ambiente, alla società e ai principi etici che guidano la gestione è conosciuta anche come analisi “extra-finanziaria”, proprio perché si affianca all’analisi finanziaria più tradizionale per completare la lettura dei valori e degli asset aziendali anche dal punto di vista dei criteri di sostenibilità.
- Questo tipo di analisi è particolarmente importante per il mondo finanziario nel momento in cui si ha la necessità di selezionare i titoli delle aziende che meglio rispondono ai criteri di sostenibilità sulla base di parametri e criteri oggettivi.
Per quali ragioni si considera positivo l’impatto ESG
L’impatto positivo dal punto di vista finanziario dell’ESG (Environmental, Social and Governance) è determinato da una serie di fattori, il primo riguarda il fatto che una società “sostenibile” dovrebbe affrontare minori rischi legati alle emergenze ambientali, al rispetto delle normative, alle eventualità di controversie legali, nello stesso tempo si tratta di società che proprio per questo impegno esprimono un maggior impegno in termini di ricerca scientifica, di innovazione sia per quanto riguarda la capacità produttiva (ovvero di innovazione a livello di operations e di sicurezza per il personale) sia per quanto riguarda il rapporto con i propri clienti e con i partner, in termini di trasparenza e fiducia. Questo approccio esprime i propri benefici in termini di riduzione dei rischi legati a incidenti o pratiche inappropriate a livello di Operations, di relazioni con i clienti e appunto di azioni legali.
Perché gli investimenti ESG sono conosciuti anche come “Investimenti Sostenibili”
Gli investimenti guidati dai criteri ESG (Environmental, Social and Governance) rappresentano una tipologia di scelte finanziarie che sono spesso conosciute come investimenti sostenibili. Con l’associazione ai valori della sostenibilità si intendono investimenti che sono finalizzati a produrre un ritorno positivo non solo dal punto di vista economico per gli investitori, ma che sono anche in grado di generare effetti positivi per la società e per l’ambiente. La differenza rispetto agli investimenti sostenibili del passato o “tradizionali” è che i criteri ESG consentono di misurare concretamente gli effetti sociali e ambientali di questi investimenti, oltre agli effetti economici legati ai risultati di business.
Sempre rispetto al passato è sempre più diffusa la convinzione che le aziende in grado di produrre risultati positivi per ambiente e società siano anche più performanti nel lungo periodo nel raggiungere migliori risultati di business. Nel momento in cui si parla di investimenti sostenibili occorre considerare che ci sono diverse tipologie:
- Gli investimenti socialmente responsabili al cui interno si collocano gli investimenti etici
- Gli Impact investing
- Gli investimenti value-based
- Gli investimenti basati su criteri ESG
Cosa si intende per “atteggiamento Impact Investing”
Negli Impact investing gli investitori non cercano solo il raggiungimento di obiettivi di ritorno finanziario con una ottimizzazione dei fattori di rischio, ma cercano di raggiungere anche obiettivi legati all’impatto sociale e ambientale delle imprese con i loro prodotti e i loro servizi. L’Impact investing è un approccio che parte dalla considerazione che le imprese devono avere obiettivi più articolati rispetto alla sola generazione di valore economico. Per diversi economisti e osservatori è da tempo in corso una evoluzione che intende superare la convinzione che il benessere degli azionisti sia solo nei profitti e nella crescita del market value. Una evoluzione che parte dalla convinzione che le attività volte alla generazione di profitti e le attività ispirate a principi etici non sono tra loro incompatibili, ma al contrario sono destinate a diventare inseparabili. Soprattutto per gli investitori che seguono logiche di lungo periodo.
Che cos’è l’ESG Integration
Una possibile risposta a chi guarda con scetticismo alle logiche ESG è rappresentata dall’approccio conosciuto con ESG Integration. Un approccio che “utilizza” le informazioni e le valutazioni ESG senza dare vita a una vera e propria strategia ESG. In questo caso gli investitori assumono decisioni di investimento che inseriscono i fattori ESG nell’ambito di un quadro di gestione e modernizzazione del portfolio di tipo tradizionale. In altre parole i criteri ESG sono sfruttati per il loro potenziale di conoscenza per analizzare e comprendere i fattori di rischio e le potenzialità di rendimento. Il principio che sta alla base dell’approccio ESG Integration è che non c’è ancora unanimità in merito agli effetti benefici dei criteri ESG. Tuttavia, anche in assenza di questa unanimità, ci sono ricerche che mettono in relazione la qualità dei rating in termini di questioni materiali di sostenibilità con la performance delle aziende e le imprese con rating più positivi performano meglio rispetto alle altre aziende. Nello stesso tempo altre ricerche mostrano che le imprese impegnate nell’adozione e implementazione di pratiche ESG mostrano una relazione non negativa o positiva con le performance finanziarie e una maggiore stabilità dei risultati nel tempo.
L’ESG Integration può essere interpretato come una forma di scetticismo attento al valore dell’ESG.
Cosa si intende per criteri ESG?
I criteri ESG sono la rappresentazione di una serie di criteri per la misurazione e il monitoraggio delle performance delle imprese relativamente al loro impatto ambientale, sociale e alla Governance che ispira le loro attività.
ESG rappresenta un approccio alla conoscenza e all’analisi delle aziende sempre più utilizzato nel mondo finanziario come una piattaforma di valutazione della sostenibilità degli investimenti e come valutazione delle performance delle imprese, unitamente ai parametri economici tradizionali.
Cosa sono i Transition Risk e perché sono in relazione con l’ESG?
Nel momento in cui un’azienda intraprende un percorso di migrazione delle proprie attività e della propria attività in direzione di un assetto che permetta di migliorare l’impatto ambientale e sociale si trova a gestire un progetto che è sostanzialmente di Transizione. L’azienda deve passare da un modello in cui “consuma materia, energia, tempo e competenze a livello di risorse umane” a un modello in cui gestisce una relazione responsabile con la materia, con l’energia, con i valori che arrivano dalle persone. L’azienda deve affrontare un passaggio molto importante e deve preparare la propria organizzazione, le proprie infrastrutture produttive, le proprie persone e in generale la propria Governance per sostenere questo nuovo modello. Questo passaggio non è privo di rischi: ESG significa “alzare l’asticella” dei risultati, significa aggiungere nuovi obiettivi legati all’impatto ambientale e sociale agli obiettivi di business che restano di primaria importanza. Il percorso verso l’ESG deve considerare anche i fattori legati ai Transition Risk, ovvero ai rischi legati alla trasformazione energetica, digitale, economica e in non pochi casi casi anche di modello di business, delle imprese.
ESG: la convergenza fondamentale tra innovazione sostenibile e o di innovazione digitale
Comunque la si guardi, che si tratti di un progetto di trasformazione aziendale o di una forma di investimento la sostenibilità necessita di tempo, non è un processo e men che meno un progetto compatibile con le logiche del breve periodo. Ma anche qui il digitale può rappresentare un “acceleratore”. Occorre considerare che sostenibilità e innovazione digitale portano entrambe una profonda trasformazione a livello di produzione, di innovazione nelle operations, nella gestione delle risorse e nella richiesta di nuove competenze. Pensiamo, solo per fare un esempio al concetto stesso di materia, ai modelli di relazione con il personale, con i clienti, con i partner e appunto al fatto che gli stessi modelli di business sono nella condizione di evolvere, di svilupparsi in forme nuove. In questo senso, modelli abilitati dal digitale come ad esempio la service transformation o servitization possono permettere di accelerare i tempi in modo molto significativo.
Come ESG360 siamo convinti che non è possibile parlare “solo” di innovazione sostenibile e o di innovazione digitale, ma che si tratta di due processi che anche quando partono in modo indipendente sono destinati a convergere e a intrecciarsi tra loro. Se si vogliono ottenere risultati concreti occorre parlare sia di trasformazione verso la sostenibilità e di trasformazione digitale. Come appare evidente per avviare e gestire una trasformazione serve tempo e per attuare processi ESG serve una trasformazione che porta risultati nel lungo termine.
Ma la differenza tra una prima “declinazione” dell’ESG e della sostenibilità e quella che sta prendendo forma con questo tipo di trasformazione che possiamo definire strutturale è dato appunto solo dalla saldatura tra la trasformazione legata alla sostenibilità e la trasformazione digitale. Il digitale sta dimostrando che si possono accelerare i tempi e che si possono raggiungere obiettivi che uniscono l’impatto ambientale e sociale e i risultati di business anche nel medio e nel breve termine.
Innovare vuol dire “Cambiare la regole del gioco”: ecco il vero rapporto tra ESG e sostenibilità
Il passaggio da una prospettiva di lungo termine a prospettive di medio termine o addirittura di breve termine non deve essere assimilata solo a una forma di accelerazione, non si tratta solo di “fare le stesse cose in meno tempo” e nemmeno alla possibilità di dare “maggiore potenza” al motore per aumentare la velocità. La fase dell’efficienza che arriva grazie al digitale (fare di più con meno) resta tuttora fondamentale e importantissima ed è legata al fatto che il digitale apre a nuove forme di trasformazione economica. E in ogni caso da sola non basta per quel “salto di paradigma” che si chiede ai processi di sostenibilità e all’ESG considerando che si tratta di progetti basati direttamente o indirettamente sui 17 SDGs delle Nazioni Unite.
Per raggiungere questi obiettivi occorre “cambiare le regole del gioco”. Occorre rivedere completamente il rapporto con le risorse, qualunque sia il tipo di azienda e il tipo di business nel quale è coinvolta. Ecco il ruolo della saldatura tra sostenibilità e innovazione digitale, ecco il senso di un digitale che apre le porte verso una nuova lettura dei bisogni e un nuovo modo, compatibile con le risorse disponibili, per rispondere a questi bisogni. Ecco che modelli innovativi come la circular economy, come appunto la servitizzazione, come la remotizzazione e lo smart working, come la dematerializzazione dei servizi e dei processi produttivi.
Per quali ragioni l’ESG sta diventando mainstream
L’ESG non è in assoluto un fenomeno nuovo, i temi della trasformazione ambientale e sociale sono da tempo al centro dell’attenzione di tante imprese e tante organizzazioni, ma era vissuto fondamentalmente come un tema legato all’etica o al posizionamento delle aziende. A fronte di scelte, in molti casi anche molto coraggiose, e certamente anche molto impegnative in tema di trasformazione sui prodotti, la comunicazione avveniva sulla base della volontà delle imprese di valorizzare questo impegno anche dal punto di vista della comunicazione e dal punto di vista commerciale. Sono nate da tempo varie modalità per certificare e fornire garanzie sull’effettivo impegno e sui risultati effettivamente raggiunti da parte delle imprese allo scopo di fornire prevalentemente ai consumatori la certezza che il premium-price che viene richiesto a fronte di un impegno spesso straordinario in termini di gestione dell’impatto ambientale dei prodotti corrisponde effettivamente alla realtà. Questa fase ha certamente aiutato molte imprese ad acquisire un vantaggio competitivo che esprime anche un valore etico e che ha trovato il consenso di un numero crescente di consumatori. Ed è proprio su questa base di partenza, ovvero sul numero di consumatori che indirizzano le loro scelte sulla base di criteri etici e sulla quantità ed entità delle loro scelte che è iniziato e si è consolidato questo fenomeno. Da qui il passaggio a un sistema di monitoraggio, di verifica, di parametrizzazione e di creazione di vere e proprie classifiche per garantire i consumatori nelle loro scelte e – in ragione della diffusione di questa tendenza – garantire gli investitori nelle loro decisioni di investimento. Ecco che l’ESG ha iniziato a diventare un fenomeno mainstream. Si è registrato il passaggio da una fase in cui l’impatto ambientale e sociale o l’impegno etico delle imprese influiva sulle scelte di un numero limitato di consumatori a una situazione in cui è notevolmente aumentata sia la sensibilità dei cittadini sia la numerosità dei consumatori. Davanti a questa evoluzione del mercato è parimenti aumentata anche l’attenzione degli investitori verso le aziende che decidono di lavorare sull’impatto ambientale, sociale per assumere un comportamento più responsabile in termini di gestione delle risorse.
E’ possibile misurare l’impatto ambientale dei prodotti che acquistiamo nei punti vendita

La possibilità di associare anche scelte quotidiane come l’acquisto di un prodotto di largo consumo con la consapevolezza di influire, con questa scelta sull’impatto ambientale, è una sfida straordinaria. Una sfida raccolta da diverse realtà in particolare nell’ambito del digitale. Un bell’esempio arriva dalla startup svedese Doconomy e dall’utilizzo dell’Indice Aland per la misurazione delle emissioni di CO2 corrispondenti a ciascun singolo prodotto. Grazie alla soluzione realizzata da Doconomy si può misurare l’impatto ambientale di prodotti e servizi con un tool che consente di calcolare il carbon footprint anche di prodotti e servizi molto complessi. Il 2030 Calculator permette di calcolare velocemente il product carbon footprint mettendo a disposizione dati utilizzabili anche a livello di etichettatura dei prodotti per consentire alle aziende una comunicazione legata all’impatto ambientale del singolo prodotto.
I dati forniti da 2030 Calculator includono un mix di valori di CO2 e di CO2e mentre il carbon print finale è calcolato in Kg di CO2e. Il calcolo del carbon footprint di ciascun prodotto avviene grazie ai dati forniti dal LCA (Life Cycle Assessment) che vengono parametrati con i dati provenienti da database di dati relative a emissioni di CO2e generati da materie prime, da processi di lavorazione e da materiale relative a packaging e a servizi legati alle operations comprendendo produzione, trasporto e gestione.
Il 2030 Calculator è in grado di associare ciascun prodotto a una serie di dati legati ai materiali con cui è stato prodotto, all’energia che si è resa necessaria per la produzione, unitamente ai dati legati al “peso” delle categorie merceologiche di appartenenza, ma anche all’area geografica nella quale si svolgono le attività produttive, alla numerosità e tipologia delle aziende coinvolte nel processo produttivo, alle facility che sono state coinvolte e a tutte le altre risorse che sono coinvolte, anche in forma indiretta, nella produzione, nel trasporto e nella commercializzazione del prodotto che approda sullo scaffale di un negozio.
Il dato finale, che deve essere chiaramente comprensibile dai consumatori è frutto di una fitta rete di collaborazioni tra Doconomy e una serie di fonti indipendenti come l’ICE (The Inventory of Carbon & Energy by the University of Bath), IVL (the Swedish Environmental Institute), DEFRA (the UK government Department of Energy, Foods & Rural Affairs). Nello specifico poi per la valutazione della componente energetica Doconomy ha scelto di adottare come fonte per il mercato europeo l’AIB (Association of Issuing Bodies) mentre per i paesi extra-Europei l’IEA (the International Energy Agency). La misurazione relativa al “peso” del “trasporto” è invece calcolata utilizzando Google Maps Places API e il dato relativo alle emissioni è gestito grazie a NTM (Network for Transport Measures).
Ma è proprio vero che i consumatori scelgono sulla base dell’impatto ambientale?

Non è possibile dare una risposta in assoluto, certamente oggi le scelte ambientali e sociali sono molto più importanti rispetto al passato e aumenta il numero delle persone che cercano di avere un rapporto più consapevole e più attento verso l’ambiente. Se si guardano i dati di GfK Sustainability (ricerca Who cares, Who does) si vede che il 59% degli italiani si aspetta dalle aziende e dai brand un comportamento sempre più responsabile in termini di impatto ambientale, non solo il 34% dichiara di essere disposto di “passare dalle parole ai fatti” e di cambiare le proprie abitudini se questo serve per migliorare l’impatto ambientale.
Si stanno creando le condizione per una Sostenibilità che assume il ruolo di “driver esistenziale”, che caratterizza e influenza gli stili di vita, che impatta direttamente sulle scelte di acquisto e di consumo. Ecco che è sempre più importante studiare e analizzare le tendenze Green e comprendere in modo sempre più approfondito le specificità del Target di consumatori “eco-consapevoli”.
Sulla base del comportamento di acquisto dei beni di largo consumo nella gestione degli imballaggi, nel 2019 sono stati identificati diversi tipi di impatto ambientale e atteggiamenti significativamente diversi in termini di responsabilità personale e di modalità di comportamento attivo nei confronti dell’ambiente, come ad esempio nella gestione dei rifiuti.
GFK vede in questo senso tre grandi tipologie di atteggiamento:
- Eco Attivi, consumatori e cittadini responsabili fortemente impegnati a compiere passi significativi per ridurre l’impatto ambientale.
- Eco Attenti (Considerers), ovvero in questo caso persone che sono sempre più preoccupate e attente ai temi ambientali ma tendono a considerare che l’azione sia prevalentemente in capo a governi e aziende
- Eco Disattenti o disinteressati, vale a dire soggetti che non sono interessati alle sfide legate all’impatto ambientale e non nutrono preoccupazioni legate a questo tipo di tematiche
La ricerca mostra che la consapevolezza è in aumento. Gli eco attivi crescono con tassi a due cifre a dimostrazione che la propensione alla sostenibilità non è un atteggiamento temporaneo, ma ha le condizioni per diventare un atteggiamento personale e sociale che condiziona in modo profondo le scelte e lo stile di vita dei consumatori.
T Shirt per 2€? Se conosci l’impatto sociale preferisci fare una donazione
Un social experiment veramente significativo. Una maglietta in vendita a un prezzo “aggressivo”: 2€. Tanti clienti potenziali sembrano approfittarne, si preparano a pagare e si preparano a portarla a casa, ma il “vero prezzo” è quello della consapevolezza, per effettuare l’acquisto devi conoscere come vengono prodotte le magliette. Per avere un prodotto con quelle caratteristiche a quel prezzo di mercato c’è un “altro prezzo” che si sta pagando. Le condizioni di lavoro nelle fabbriche, la mancanza di sicurezza sotto ogni punto di vista, i rischi per la salute, lo sfruttamento delle persone. Tutto documentato e chiaro: per permetterti di acquistare questa maglietta a questo prezzo, questo è il prezzo che “fai pagare” a qualcun altro. L’alternativa? Donare i 2€, rinunciare alla maglietta e contribuire con i 2€ a creare migliori condizioni di lavoro e di vita per le persone coinvolte in questa filiera non certo virtuosa.
Il risultato? La consapevolezza di cosa si cela dietro al percorso produttivo di queste magliette toglie ogni esitazione. Si può benissimo fare a meno di questa T-Shirt mentre si può contribuire a evitare questi pericoli e queste situazioni. la maggior parte di coloro che si sono presentati come potenziali clienti diventano donatori.
Si può parlare di un “effetto” BlackRock per l’ESG?
Certamente ha fatto notizia all’inizio del 2020 la presa di posizione con cui Larry Fink, CEO di BlackRock ha comunicato la volontà del fondo di indirizzare i propri investimenti verso imprese che ispirano strategie e attività a criteri ESG: BlackRock, l’ambiente, le PMI e le prospettive dell’ESG). BlackRock è il più grande gestore privato di fondi al mondo e di fatto ha dichiarato di scegliere per i propri investimenti aziende che scelgono di migliorare il proprio impatto ambientale e di adottare governance attente alle tutele dei diritti del personale. Per una realtà che gestisce risorse per oltre 6.500 miliardi di dollari (valori che superano il PIL di tante economie nazionali) arrivare a stilare una lista di 244 imprese nel mondo che non stanno facendo abbastanza per contrastare il climate change significa fornire indicazioni strategiche e gestionali molto forti in direzione di politiche e progetti di tipo ESG.
Il video di CNBC con l’intervista a Larry Fink, CEO di BlackRock sull’importanza per le imprese di adottare scelte ispirate alla sostenibilità
Viene da domandarsi per quale ragione una realtà come BlackRock così importante e così attenta anche al ritorno dei propri investimenti abbia scelto di prendere una posizione così chiara e così netta. Senza nulla togliere al valore morale di questa scelta e alla visione etica che anima le strategie del fondo c’è certamente anche la convinzione (e la capacità previsionale) che il rischio legato al clima e al rapporto tra imprese e ambiente rappresenti una componente sempre più importante del rischio di investimento. Più le aziende sono nella condizione di gestire i proprio rapporto con l’ambiente più sono nella condizione di ridurre i fattori di rischio collegati al clima e più sono nella condizione di rispettare le previsioni di medio e lungo periodo, anche a fronte di eventuali emergenze.
L’attivismo della finanza: Morgan Stanley annuncia finanziamenti solo a net-zero emissions entro 2050

Morgan Stanley è una delle principali società di servizi finanziari che opera a livello internazionale e che offre servizi di gestione degli investimenti, gestione patrimoniale, investment banking, con una presenta in oltre 41 paesi e dieci anni fa circa ha lanciato un proprio Global Sustainable Finance Group allo scopo di focalizzare attenzione e risorse per individuare i potenziali rischi e le possibili opportunità legate ai cambiamenti climatici e alla sostenibilità. L’impegno è proseguito con la creazione di un Institute for Sustainable Investing con cui Morgan Stanley punta ad analizzare e creare le condizioni per stimolare e accelerare lo sviluppo di investimenti ispirati ai criteri della sostenibilità con una serie di iniziative che prevedono la formazione professionale di figure preparate nella gestione di investimenti sostenibili, sia in termini di analisi delle prospettive e dei rischi sia in termini di skill nell’utilizzo di strumenti adeguati al monitoraggio e al benchmark delle performance legate alla sostenibilità. Ma l’Institute for Sustainable Investing ha anche lo scopo di avviare forme di collaborazione con imprese e istituzioni allo scopo di aumentare la conoscenza e la sensibilizzazione su questi temi.
Nell’ottobre del 2020 la società ha annunciato il proprio commitment per raggiungere net-zero financed emissions entro il 2050. In quella circostanza il Chief Sustainability Officer della società Audrey Choi ha dichiarato che i cambiamenti climatici rappresentano oggi uno dei temi più complessi del nostro tempo, con tantissime interconnessioni a tutti i livelli e per stimolare e promuovere la transizione verso un futuro low carbon occorrono anche tools standard e metodiche condivise per la misurazione, il controllo e per la divulgazione e la comunicazione delle emissioni che provengono da realtà imprenditoriali che sono oggetto di finanziamenti. Da qui l’impegno della società per sviluppare tool e metodiche per misurare e gestire le attività finanziarie che sono correlate con emissioni di carbonio.
Che cos’è la Circular economy e perché è importante per l’ESG
Per alcuni è “la soluzione”, per altri è un percorso lungo che può dare i suoi frutti solo se è accompagnato da una grande trasformazione culturale e sociale, per altri ancora è un “recupero” della naturale “circolarità” della natura. Comunque sia la circular economy è strettamente legata alle prospettive ESG ed è una risposta molto concreta alla necessità di ripensare la gestione delle risorse del piante a partire dalle attività di ciascuna singola impresa. Non si può guardare alle prospettive dell’ESG senza comprendere il paradigma economico dell’economia circolare, ovvero la capacità di fare della sostenibilità ambientale e sociale la base della strategia aziendale.
Ma che cosa si intende esattamente per economia circolare?
In grande sintesi si può definire l’economia circolare come la capacità di passare da un modello di produzione e di consumo lineare in cui ciascun passaggio prevede un consumo di materia e di energia per approdare a una fase finale in cui la materia e l’energia di ciascun prodotto cessano il loro ciclo di vita e richiedono un ulteriore impegno e investimento per gestire il loro smaltimento a un modello circolare in cui il prodotto viene progettato tenendo in considerazione il suo rapporto con le risorse e con l’ambiente e il suo ciclo di vita è impostato per “restituire” all’ambiente materia ed energia. Il principio che sta alla base di questa “circolarità” è legato a una logica che consente di disaccoppiare i temi della crescita economica in generale dai temi legati al consumo di risorse. L’altro aspetto chiave è rappresentato dalla possibilità di ripensare, grazie alla circolarità, il concetto stesso di rifiuto.
La circular economy permette di raggiungere una serie di obiettivi che fanno parte in modo strutturale delle logiche “circolari” che possono essere riassunte in una serie di punti chiave:
- Possibilità di aumentare, nel tempo, il valore di un prodotto e di valorizzare in modo sempre più consapevole anche tutti i suoi componenti nell’accezione di tutte le parti, dei processi e delle attività di lavorazione. Un valore che non “merita” di andare sprecato
- Disponibilità di maggiori opportunità di trasformazione da una logica di possesso a una logica di servizio, ad esempio nella forma di service transformation o servitizzazione
- Di fatto questa prospettiva implica anche un prolungamento del ciclo di vita dei prodotti, o meglio un ripensamento del rapporto tra consumatore e prodotto
Per il mondo della produzione, in particolare, la circular economy implica un ripensamento profondo sia in termini di rapporto con i clienti sia ovviamente in termini di organizzazione del lavoro. In particolare questa prospettiva prevede alcuni passaggi fondamentali come:
- Riprogettazione dei prodotti sia in termini di logiche di prodotto orientato a prolungarne la durata sia in termini di utilizzo di materiali e componenti più adatto a garantire un corretto impatto ambientale
- Innovazione a livello di modelli di business in termini di un rapporto diverso tra prodotto e consumatore anche nel segno di una evoluzione tra un rapporto basato sul concetto di proprietà del prodotto a un concetto sempre più basato sul concetto di utilizzo del prodotto o dei benefici del prodotto. in tutto questo un ruolo assolutamente
- Nuovi processi produttivi. Questo percorso impone un ripensamento dei modelli di produzione in una prospettiva che consenta di aumentare l’attenzione anche a livello di fabbrica su tutte le problematiche ambientali. Ad esempio per ridurre gli scarti di produzione e per innovare le tecnologie di produzione e materiali, in modo da ottenere benefici in termini di gestione delle risorse energetiche e della lavorazione dei materiali stessi
- Impatto sulle supply chain. L’innovazione legata alla circular economy non si ferma al rapporto con i consumatori e alla “fabbrica” ma come appare evidente ha un impatto notevole anche a livello di innovazione nelle supply chain a cui è affidato, tra l’altro il compito fondamentale di essere nella condizione di recuperare il prodotto giunto a fine vita e di gestirne il recupero in termini di materiali, risorse energetiche, competenze e relazione con i consumatori o clienti finali.
- Gestione finanziaria innovativa. Il prolungamento del ciclo di vita dei prodotti, il ripensamento nel rapporto tra consumatore e prodotto, le nuove modalità di vendita e di pricing, la necessità di considerare già in fase di progettazione le attività connesse al recupero dei prodotti, impongono un ripensamento profondo anche dal punto di vista finanziario, a maggior ragione nel momento in cui si attuano anche modelli di business innovativi prevalentemente basati sul servizio. La componente finanziaria delle imprese deve essere coinvolta su questa evoluzione già in fase di redesign dei prodotti e dei processi.
Prima versione 22 novembre 2020
Ultimo aggiornamento 30 gennaio 2021
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